La retinite pigmentosa è una patologia genetica a carico dell’occhio (o di entrambi). Si tratta di una patologia dai sintomi, dalle manifestazioni e dai risvolti potenzialmente molto gravi ed è per questo motivo che abbiamo deciso di preparare questo speciale, che vi permetterà di saperne di più su una delle patologie più importanti tra quelle a carico degli occhi.
Che cos’è?
Quando parliamo di retinite pigmentosa, ci riferiamo ad una distrofia retinica progressiva: si tratta di un gruppo di disturbi di carattere ereditario, nei quali i fotoricettori, ovvero i corpuscoli che devono percepire la luce e l’illuminazione, non funzionano a dovere.
Successivamente ai primi problemi relativi alla luce, si può anche cominciare, a causa dei danni all’epitelio pigmentato della retina, a perdere la vista periferica.
Quali sono i sintomi di questa patologia?
I sintomi più comuni di questa patologia sono in genere a carico della vista:
- Abbassamento repentino della vista durante la notte che, con il tempo, può anche trasformarsi in completa cecità notturna.
- La testa del nervo ottico, ad un esame approfondito, appare pallida e di un aspetto simile alla cera.
- Maculopatia, ovvero presenza di macchie a livello della retina.
- Visione a cannocchiale: si perde progressivamente la vista periferica, il che risulta in una vista che ci permette di vedere solo quello messo a fuoco centralmente con i nostri occhi.
Sono questi gli effetti più comuni, o meglio, i segni dai quali possiamo comprendere di aver a che fare con questa patologia.
Si possono trattare?
Qui arriva la nota dolente, in quanto non ci sono allo stato attuale della scienza, trattamenti in grado di far guarire completamente il paziente da un caso di retinite pigmentosa.
Tuttavia sono ormai praticamente comuni alcuni presidi medici che permettono, quantomeno, di rallentarne il decorso:
- Pare essere molto efficace la somministrazione di Vitamina A, che riuscirebbe mediamente a rallentare l’insorgenza della cecità completa anche di 10 anni.
- Si ricorre anche all’assunzione di acidi grassi Omega 3, che sembrano avere un ottimo risultato nella lotta a questa specifica patologia.
- Ultimamente sembra siano allo studio alcune tecniche che prevedono l’utilizzo di cellule staminali: si tratta però di tecniche ancora estremamente sperimentali e che sembrano essere lontane dalla messa in produzione per le masse.
Per il momento, dunque, sembra ci sia pochissimo da fare, se non cercare di rallentare, tramite i presidi medici indicati sopra, l’avanzare di questa patologia.